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«Qual è la mia funzione sul pianeta? »

tratto da "Dovunque tu vada ci sei già" di Jon Kabat-Zinn


«Qual è la mia funzione sul pianeta? » è una domanda che dovremmo porci continuamente.

Altrimenti potremmo finire con lo svolgere la funzione di un altro senza nemmeno saperlo.

E per di più l'altro potrebbe essere un prodotto della nostra immaginazione e nello stesso tempo suo prigioniero.

Quali creature pensanti, confezionate come tutte le forme di vita in unità organiche, ossia i corpi, e nel contempo totalmente e impersonalmente inserite nella trama dell'incessante svolgersi della vita, possediamo la capacità singolare di responsabilizzarci per questa entità materiale che rappresenta la nostra vita, almeno per il tempo che ci è concesso di rimanere sotto il sole.

Ma abbiamo anche la strana capacità di permettere alla mente pensante d'intorbidare completamente il passaggio su questa terra.

Corriamo il rischio di non avere la nozione della nostra unicità - almeno finché rimaniamo nell'ombra proiettata dalle abitudini e dai condizionamenti mentali.

A quanto si dice, Buckminster Fuller, scopritore/inventore della cupola geodetica, all'età di trentadue anni meditò il suicidio per alcune ore di una certa sera, sulla sponda del lago Michigan, dopo una serie di fallimenti economici; era convinto di aver trasformato la sua vita in un disastro tale che la miglior cosa per lui sarebbe stata scomparire dalla scena, semplificando le cose per sua moglie e la bambina in tenera età. Apparentemente, tutto ciò che aveva intrapreso si era mutato in cenere malgrado l'incredibile creatività e immaginazione che gli vennero riconosciute in seguito. Tuttavia, invece di porre fine alla sua vita, Fuller decise (forse perché profondamente convinto dell'intrinseca unità e dell'ordine dell'universo, di cui si riteneva parte integrante) di continuare a vivere da quel momento come se fosse morto la sera stessa.
Da morto non avrebbe più dovuto preoccuparsi di come le cose arebbero funzionato per un personalmente e sarebbe stato libero di agire come rappresentante dell'universo. Quel che rimaneva della sua vita poteva essere considerato un dono e invece di vivere per se fesso si sarebbe dedicato a risolvere l'interrogativo: «C'è qualcosa su questo pianeta (che lui chiamava Astronave Terra) che mi risulta debba essere fatta e probabilmente non sarà così se non me ne occuperò io? » Decise che si sarebbe posto la domanda continuamente, facendo quello che capitava, seguendo il proprio fiuto.

In quel modo, lavorando per l'umanità quali incaricati dell'intero universo, voi modificate e contribuite al vostro contesto grazie a ciò che siete, a come siete e cosa fate. Ma non sarà più una questione personale, bensì solo parte della totalità dell'universo che esprimerà se stessa.

Raramente mettiamo in discussione e poi contempliamo con determinazione ciò che il nostro cuore ci dice di fare e di essere.

Io amo descrivere questi aspetti in forma interrogativa: «Qual è la mia funzione principale su questo pianeta? » oppure « A cosa tengo talmente tanto che pagherei per farla? »

Se mi pongo questa domanda e riesco a rispondere soltanto «Non so», allora continuo a chiedere. Se iniziassimo a riflettere su questi interrogativi a vent'anni, una volta arrivati ai trentacinque, ai quaranta, cinquanta o sessant'anni constateremmo che l'indagine ci ha condotto dove non saremmo mai giunti seguendo semplicemente la convenzioni generali, le aspettative dei genitori o peggio le proprie convinzioni e attese egocentriche e superficiali.

Potete porvi questa domanda in qualsiasi momento, a qualsiasi età.

Non esiste una stagione della vita in cui non abbia un profondo effetto sulla vostra visione delle cose e sulle scelte che fate. Non è detto che significhi un cambiamento totale della vostra vita, ma potrebbe modificare il vostro modo di considerarla. Quando l'universo diventa il vostro datore di lavoro, cominciano ad accadere cose interessanti, anche se sarà qualcun altro a ritirare la vostra paga. Ma dovrete essere pazienti, perché creare questo modo di vivere richiede tempo. Naturalmente il posto per cominciare è proprio qui. E perché non ora?
Non si può mai sapere che cosa uscirà da queste introspezioni.
Fuller stesso amava dire che quanto sembra accadere al momento non rispecchia mai interamente ciò che succede davvero.

Aggiungeva che per l'ape mellifera è importante il miele; ma l'ape è anche il veicolo naturale dell'impollinazione dei fiori. L'interrelazione è un principio fondamentale della natura. Nulla è isolato, ogni avvenimento è legato ad altri. Le cose si evolvono continuamente a livelli diversi e spetta a noi individuare meglio che possiamo ordito e trama di tutto e seguire i nostri fili attraverso l'arazzo della vita con sincerità e decisione.

Fuller credeva in un'architettura insita nella natura, in cui forma e funzione sarebbero inestricabilmente collegate. Credeva nella logica degli schemi naturali e nella loro influenza concreta nelle nostre vite a molteplici livelli. Prima della sua morte studi cristallografici ai raggi X avevano dimostrato che molti virus - gruppi di macromolecole submicroscopiche ai limiti estremi della vita stessa - sono strutturati conformemente ai medesimi principi geodetici da lui scoperti gingillandosi con i poliedri.
Non è vissuto abbastanza per vederlo, ma oltre a tutte le sue invenzioni e idee fondamentali si è aperto un campo interamente nuovo della chimica attorno all'imprevista scoperta di composti di carbonio a forma di pallone da calcio dotati di notevoli proprietà, presto noti come Buckminsterfullereni o buckyballs. Mentre continuava a seguire il suo cammino, le riflessioni portarono a scoperte e mondi che non aveva mai osato sognare. Voi potete fare altrettanto. Fuller non si è mai ritenuto una persona speciale in nessun senso, bensì un uomo comune che amava giocare con le idee e le forme. Il suo motto era:
«Se lo capisco io è alla portata di chiunque altro ».


Insisti su te stesso, non star mai a imitare. In ogni momento potrai mostrare il tuo proprio dono con la forza accumulata dalla dedizione di tutta una vita, mentre invece del talento che hai preso a prestito da un altro hai solo un'estemporanea e dimezzata padronanza...

Fa quello che ti è assegnato e non dovrai sperare né osate di più.


RALPH WALDO EMERSON, Fiducia in se stesso




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