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Nostra madre

Immagine del redattore: Federica Seal RonchiFederica Seal Ronchi
Nostra madre: il primo grembo che ci accoglie, la prima dimora che ci protegge, il legame più antico e intimo che sperimentiamo nella vita. In lei, la vita e il mistero si fondono, dando origine a un disegno più grande, dove l’inizio e la fine si sfiorano in un eterno cerchio.

Il rapporto con nostra madre è un viaggio che ha inizio ben prima della nascita, nei silenzi profondi di un grembo che ci plasma e ci nutre.

Per nove mesi, condividiamo un dialogo muto ma potentissimo, imparando a vivere in armonia con il suo corpo, il suo respiro, il battito del suo cuore. Poi, nel momento della nascita, quando ci separiamo fisicamente per la prima volta, non facciamo altro che compiere un passo all’interno di una danza ancestrale. Una danza fatta di vicinanza e lontananza, di abbracci e distacchi, di ritorni e di addii.

Dopo la nascita, il seno materno diventa il primo rifugio, un porto sicuro dove troviamo nutrimento, calore e conforto. Ma quel legame profondo, quel filo invisibile che ci unisce a nostra madre, non si spezza con il primo respiro autonomo. Resta intatto, anche quando la vita ci conduce lontano, quando gli anni e le esperienze ci separano. Eppure, talvolta, la distanza tra noi e nostra madre può farsi dolorosa.

Ci troviamo a chiederci: cosa rimane di quell’amore originario quando il tempo e le ferite lo velano? Lo portiamo con noi o lo smarriamo lungo il cammino?

Spesso, il dolore della separazione si riflette nelle nostre relazioni future. Le ferite del passato si insinuano nei legami con il partner, con i figli, con il mondo. Eppure, quell’amore originario è una radice profonda che continua a nutrirci, anche quando sembra nascosta. Se ci fermiamo ad ascoltare, possiamo sentirne ancora l’eco, una melodia che attraversa il tempo e ci chiama a tornare a casa.

Come possiamo guarire?
Come possiamo ritrovare la pace interiore e tornare a quel grembo simbolico che ci ha accolti?
La risposta non si trova nel correre, ma nel fermarsi.
Nel respirare profondamente, nel sentire.

Immagino nostra madre di fronte a noi, con il suo sguardo dolce e paziente. In quel silenzio carico di significato, possiamo fare un piccolo passo verso di lei, un passo che attraversa il dolore, il trauma, le incomprensioni. È un gesto semplice, ma in esso si cela la forza di un ritorno: un ritorno all’amore, alla vita, a noi stessi.

Ritrovare nostra madre significa anche ritrovare la capacità di amare gli altri. Quando ci riconnettiamo con quella fonte primordiale, possiamo guardare negli occhi chi amiamo, costruire legami autentici, oltrepassare le ferite del passato. La guarigione che nasce da questo gesto non è solo personale, ma si riflette in ogni relazione che intrecciamo, in ogni incontro che viviamo.

Il rapporto con la madre è uno specchio del rapporto con la vita stessa.

Chi si sente separato dalla propria madre, spesso si sente separato anche dalla propria essenza, dal proprio corpo, dal mondo che lo circonda. Ma ritrovare nostra madre significa riconciliarsi con tutto ciò. Significa riscoprire la bellezza della vita, accettarne la complessità, abbracciarne i cicli di nascita e trasformazione.

È un cammino di guarigione, di amore, di ritorno. Un cammino che ci riporta a casa, alla nostra essenza più autentica, dove possiamo finalmente vivere davvero.
con te,
Federica




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